Contro la “cultura dello scarto”: problemi della condizione omosessuale e scelte del magistero

Sinodo della Famiglia:

Anche nei documenti che sono stati pubblicati intorno al Sinodo sulla Famiglia, ci sono dei riferimenti al nostro argomento.

  1. 55-56:<La cura pastorale delle persone con tendenza omosessuale pone oggi nuove sfide, dovute anche alla maniera in cui vengono socialmente proposti i loro diritti. Come la comunità cristiana rivolge la sua attenzione pastorale alle famiglie che hanno al loro interno persone con tendenza omosessuale? Evitando ogni ingiusta discriminazione, in che modo prendersi cura delle persone in tali situazioni alla luce del Vangelo? Come proporre loro le esigenze della volontà di Dio sulla loro situazione?
  2. 131: Si ribadisce che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con sensibilità e delicatezza, sia nella Chiesa che nella società. Sarebbe auspicabile che i progetti pastorali diocesani riservassero una specifica attenzione all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale e di queste stesse persone.

In nessun documento di Magistero o Tradizione della Chiesa si è mai stabilita una condanna esplicita dell’omosessualità in quanto tale.

In quanto realtà che coinvolge la persona nella sua unicità e globalità, l’omosessualità non è mai totalmente oggettivabile; essa implica un accostamento nel segno di una “comprensione” , che sia in grado cioè di coglierne la singolarità e la densità ontologica, nonché l’orizzonte di senso dell’esistenza e il valore che assumono le relazioni interpersonali.

La natura funziona come norma. Se questa è la mia natura, o, in una variante religiosa, se Dio mi ha fatto così, ed essa non nuoce a nessuno, è mio diritto, e forse perfino mio dovere, comportarmi di conseguenza. Perciò l’omosessualità viene vista come naturale da alcuni, da altri come contro natura.

La costatazione di questa impasse è dunque un ulteriore motivo della necessità di uscire dalla via semplificatrice e riduttiva della spiegazione” per aprirsi a quella “comprensione”, facendo propri il presupposto dell’accettazione del “mistero” della persona e riconoscendo di conseguenza la necessità di rispettare i processi che sono alla base delle sue scelte etiche.

L’assegnazione di centralità alla “persona”, anziché alla “natura”, modifica ovviamente il giudizio sugli atti omosessuali, sia perché l’abbandono del riferimento a ciò che è naturale esclude che li si possa considerare ” intrinsecamente cattivi”, sia perché viene meno, per ragioni di carattere scientifico e antropologico, il riferimento alla mancanza in essi di sbocco procreativo, grazie all’acquisto da parte della stessa teologia cattolica, si veda il capitolo sul matrimonio e sulla famiglia della Gaudium et Spes, del valore in sé del rapporto sessuale, in quanto espressione del dono totale e reciproco tra due persone.

Da questa ontologia relazionale che si presenta sotto forme diverse, accomunate tuttavia dal riconoscimento dell’esistenza di una condizione originaria di intersoggettività o di co-umanità, scaturisce una concezione dell’etica per la quale ad avere il primato è anzitutto la crescita relazionale. La differenza sessuale non è per questo bandita: il rapporto uomo-donna conserva il modello paradigmatico, ma esso non esaurisce (né può esaurire) in se stesso le modalità espressive della relazionalità, la quale va allora valutata anzitutto per se stessa, per l’intensità con cui la si vive, e non tanto per le modalità eterosessuale o omosessuale, nelle quali si incarna.

<Dio creò gli uomini secondo la sua immagine; a immagine di Dio li creò; maschio e femmina li creò>(Gen 1,27).

Il rapporto uomo-donna costituisce il referente relazionale privilegiato ma non esclusivo, perché a partire da esso ci si apre, in senso allargato, a ogni altra forma di rapporto interumano.

Il Parlamento europeo, ha promulgato nel 2000 una risoluzione nella quale si chiedeva ai Paesi membri di <introdurre la convivenza registrata tra persone dello stesso sesso, riconoscendo loro gli stessi diritti e doveri previsti per le coppie eterosessuali>. Si tratta dunque di un vero e proprio dovere civile che va ottemperato ricercando le soluzioni che meglio sono in grado di tenere nel giusto equilibrio i diritti dei vari soggetti in gioco.

Qual’è l’opposizione della Chiesa Cattolica?

Pur non misconoscendo l’esigenza di tutelare i diritti delle persone omosessuali che convivono con un partner, perciò non negando la necessità che vengano fornite precise garanzie giuridiche relativamente ad alcune prestazioni, quali il pagamento delle tasse, il passaggio di eredità, la successione nell’affitto ecc. la Chiesa si rifiuta di accettare che tale tutela debba avvenire attraverso il riconoscimento della coppia omosessuale in quanto tale, e ritiene sufficiente il ricorso al diritto civile comune dove è prevista, nell’ambito dei diritti individuali, la protezione giuridica di situazioni nelle quali sussista un reciproco interesse tra soggetti.

Le obiezioni sollevate dai documenti della Santa Sede e della CEI vengono da molti, anche nel mondo cattolico, criticate in nome di una maggiore attenzione ai diritti delle persone e all’esigenza di un’interpretazione più articolata delle relazioni interumane e delle loro possibilità di espressione. La richiesta delle coppie di fatto, sia etero che omosessuali, di ottenere riconoscimento pubblico e giuridico rappresenta un importante segnale di una volontà di socializzazione e di istituzionalizzazione, che contrasta con la tendenza all’autoreferenzialità e alla privatizzazione, proprio della cultura individualistica dominante. Questo vale, in particolare, per le coppie omosessuali che non hanno attualmente alcuna possibilità di istituzionalizzazione pubblica e che rivendicano giustamente la fuoriuscita da una condizione di clandestinità che risulta, anche a livello psicologico, penalizzante.

D’altra parte non si deve dimenticare che la richiesta di riconoscimento dei diritti si accompagna all’assunzione di precisi doveri, e dunque di una vera responsabilità reciproca, che costituisce una forma di tutela del più debole nel caso si presentino situazioni di difficoltà. La promozione di tali garanzie non ha, d’altronde, soltanto valore per le persone componenti la coppia, ma ha anche ricadute positive per l’intera società, la quale si arricchisce della presenza di forme di convivenza stabili che danno solidità al tessuto sociale.

Non è forse questo il senso dell’affermazione contenuta nell’art. 2 della Costituzione, che recita:<La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale?

E’ vero che la Costituzione riconosce la peculiarità della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio (art. 29) e assicura ad essa precisi diritti e sostegni, ma questo non significa, e non può significare, la cancellazione dei diritti di altre forme di associazione interpersonale che rivestono una particolare importanza sul piano sociale. Non si vede, d’altra parte, perché il riconoscimento di diritti-doveri ad altri soggetti debba provocare un indebolimento della famiglia fondata sul matrimonio. L’ampliamento della sfera dei diritti, con il coinvolgimento di altre forme di convivenza, nulla toglie infatti alla famiglia fondata sul matrimonio, che rimane in ogni caso il riferimento privilegiato dell’azione legislativa e sociale dello Stato.

Che la società debba provvedere per tutti pari condizioni di realizzazione personale é un valore che appartiene al fondamento stesso della democrazia. Il problema però, consiste nel chiedersi sulla base di quale concezione di legge si stia rivendicando questo diritto. Che la legge debba tutelare tutti i cittadini senza eccezioni, e dunque anche i diritti del ladro, non significa che essa debba riconoscere come legittimo il furto. Ciò che il legislatore é chiamato, in prima istanza, a difendere e a tener presente é il bene comune e la sua tutela.Quindi nel caso della coppia omosessuale ci si dovrà chiedere se un tale riconoscimento giuridico rappresenti o no la promozione di quel bene. La motivazione non dovrebbe dunque essere: é giusto, perché é legale, ma, piuttosto, é garantito dalla legge, perché é secondo giustizia e, in fondo, secondo rettitudine morale.

Nella lettura dei segni dei tempi che sia la Chiesa che il mondo laico devono fare secondo il proprio pensiero e punto di vista, sono chiamati tutti a stare attenti anche alla tematica del linguaggio. Probabilmente uno dei blocchi più pericolosi che alimenta le resistenze e un “possibile” accordo, sta nel linguaggio. Se, con buona volontà, le parti in causa avessero la pazienza e la disponibilità di stabilire un linguaggio condiviso per indicare delle realtà esistenti e che nessuno può negare, con delle formule e delle definizioni condivise, le difficoltà si scioglierebbero e si potrebbe realizzare quel qualcosa che la storia ha già realizzato nella realtà.

                                           P. Vincenzo Toscano s.J.

 

 

 

Bibliografia:

  • Morale sessuale, Cataldo Zuccaro, EDB, 1997.
  • Io vi dichiaro marito e marito, Francesco D’Agostino-Giannino Piana, San Paolo, 2013.
  • La famiglia e il futuro, Tutti i documenti del Sinodo straordinario 2014, a cura di Antonio Spadaro, Ancora-La Civiltà Cattolica, 2014.
  • La famiglia oltre il miraggio, Tutti i documenti del Sinodo ordinario 2015, a cura di Antonio Spadaro, Ancora-La Civiltà Cattolica, 2015.
  • Il Catechismo della Chiesa cattolica, Libreria Editrice Vaticana, 1992.