1) L’obiettivo dei testi della Rivelazione non è anzitutto quello di fornire un codice di etica sessuale ma piuttosto di annunciare una salvezza che viene dall’alto, come frutto del dono di Dio, e che esige di essere accolta nella fede, cioè impegnandosi a vivere al meglio i valori del Vangelo. Il comportamento morale è dunque soltanto una conseguenza, e riveste come tale un significato subordinato e secondario.
2) La valutazione etica del comportamento omosessuale inserita in questo contesto appare, come è facile intuire, la risultante di un complesso processo in cui entrano in gioco fattori di ordine culturale, legati tanto ai costumi del tempo quanto a presupposti teologici desunti dalla visione religiosa di Israele e poi della Chiesa delle origini. La correlazione che si istituisce tra questi ordini di interpretazioni della realtà diviene il criterio in base al quale si procede alla produzione delle norme e alla formulazione del giudizio etico.
3) Il passaggio dal Testamento ebraico a quello cristiano implica una differenza qualitativa che rende obsoleti permessi e divieti anticotestamentari, legati a una visione legalistica della vita morale. I testi del Nuovo Testamento non contengono regole precise volte a normare l’omosessualità: il giudizio negativo in essi contenuto può essere perciò considerato più espressione del condizionamento culturale che frutto di una vera e propria condanna ricavabile dagli orientamenti di fondo della Rivelazione. Per tutti questi motivi è difficile ricavare dalla Bibbia indicazioni precise circa la valutazione del comportamento omosessuale. Il che lascia aperta la questione che, come si vedrà, viene ampiamente ripresa dalla successiva tradizione ecclesiale.
Tre passaggi doverosi con il Magistero della Chiesa e i documenti ufficiali sono i seguenti.
1) Homosexualitatis problema, Congregazione della Dottrina della Fede, 1986:
“La particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non sia in sé peccato, costituisce tuttavia una tendenza più o meno forte verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo l’inclinazione stessa deve essere considerata come oggettivamente disordinata (n. 3)
2) Catechismo della Chiesa Cattolica, Città del Vaticano, 1992, n. 2357:
Le ragioni della condanna degli atti omosessuali sono chiaramente indicate nelCatechismo. L’ammissione che la tendenza omosessuale sia <innata> e non <scelta> per <un numero non trascurabile di persone> non costituisce un motivo sufficiente per valutare con maggior circospezione l’esercizio della sessualità in tali condizioni: il giudizio negativo nei confronti degli atti omosessuali è dovuto al fatto che essi <precludono all’atto sessuale il dono della vita> è qui richiamata la motivazione classica circa l’impossibilità di attingere il fine procreativo, quanto al fatto che essi <non sono il frutto di una vera complementarietà affettiva e sessuale>, la quale può esistere soltanto nel rapporto tra uomo e donna.
3) Cura Pastorale delle persone omosessuali, Congregazione Della Dottrina Della Fede, 1.X.1986, 10.
<Va deplorato con fermezza che le persone omosessuali siano state e siano ancora oggetto di espressioni malevole e di azioni violente […]. La dignità propria di ogni persona deve essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni.
Il fatto che questa motivazione si accompagni peraltro al riconoscimento alle persone omosessuali della possibilità di fare <dono di se stesse>, lascia chiaramente intendere che il problema è esclusivamente legato alla sessualità (anzi alla genitalità).
L’ottica che la Chiesa segue nel post Concilio è quella “Personalista”, che nella Gaudium e Spes ha fatto propria e che consente di assegnare un rilievo del tutto particolare al vissuto dei singoli soggetti e dei loro rapporti intersoggettivi, nonché di abbandonare il tradizionale paradigma “relazionale”, attento perciò a valutare la consistenza qualitativa del rapporto omosessuale, inserendo in tale contesto anche il giudizio sul comportamento e sui singoli atti.